Metodi di coltivazione
Le conseguenze delle lavorazioni al terreno
Questo testo fa parte di un ciclo di articoli scritti da Gian Carlo Cappello. Per chi volesse saperne di più sulla coltivazione elementare e sul “non-metodo Cappello” consiglio la lettura dell’introduzione al “non metodo” e poi ovviamente il libro di Gian Carlo, La Civiltà dell’orto.
Il suolo allo stato naturale è un organismo vivente composito, in grado di produrre e mantenere se stesso e tutte le forme di vita presenti sul Pianeta. Nel terreno converge l’energia del Sole captata dalle piante mediante la fotosintesi clorofilliana e trattenuta sia nelle fibre vegetali che nei tessuti delle altre forme di vita che di essa si nutrono, direttamente o indirettamente.
Tutto ciò che è vivente finisce per appoggiarsi sulla superficie della terra, per esserne assorbito e reinserito nel ciclo della vita, senza conoscere entropia da un passaggio all’altro. L’elemento al centro della vita, il carbonio, è custodito soprattutto nel “Fort Knox” chiamato terra e viene reso disponibile in superficie per tutti noi dalle piante.
Come ci ricorda Claude Bourguignon, il Pianeta è coperto al 70% di acqua, ma non lo chiamiamo Pianeta Oceano; è rivestito da oltre 50 Km di atmosfera, ma non lo chiamiamo Pianeta Aria. Se lo chiamiamo Terra è perché evidentemente sentiamo forte il richiamo della nostra dipendenza dal suolo, dal quale oltre al cibo di cui ci nutriamo scaturisce l’acqua che possiamo bere e dal quale nascono le piante capaci di produrre l’ossigeno che respiriamo.
Il nostro stesso nome, homo, proviene dalla componente più significativa del suolo: l’humus. Non a caso secondo le scritture siamo stati forgiati dall’argilla. Ma al contrario dell’acqua e dell’aria la terra è fragile e possiamo distruggerla con facilità; possiamo inquinare gli oceani (e lo facciamo) ma non riusciremo a farli evaporare; possiamo aprire voragini negli strati più alti dell’ozono ma non sapremo dissolvere l’atmosfera, però riusciamo a vanificare la preziosa predisposizione della terra alla vita lavorandola e costipandola di sostanze chimiche.
Dei 5 miliardi di ettari coltivabili negli anni ‘70 ne abbiamo desertificati la metà, a fronte di un raddoppio ad oggi della popolazione umana. Se la molecola dell’acqua e i componenti dell’aria sono tenuti insieme da legami atomici forti, al contrario la terra fertile si forma in presenza di legami deboli tra la materia organica e minerale, collegamenti che la devastante attività umana può spezzare, soprattutto con lavorazioni meccaniche sempre più invasive.
Possiamo quindi comprendere la delicatezza dei principali processi di composizione e attivazione del suolo vivo e cominciare a non meravigliarci se una terra lavorata, concimata, diserbata, ammendata e irrigata, sulla cui superficie vengano spruzzati pesticidi e stesi teli di plastica non riesca più a dare alla luce piante forti e veramente capaci di darci cibo sano e aria pulita.
Articolo di Gian Carlo Cappello