Il melo è uno dei più diffusi alberi da frutto. Lo troviamo in molti giardini allevato a vaso, mentre nei frutteti professionali si vede in spalliera o fusetto.
Si tratta di una pianta resistente e produttiva, che può essere coltivata anche in zone fredde e che regala molte soddisfazioni al raccolto.
Scopriamo qui di seguito le caratteristiche di quest’albero e come possiamo coltivarlo con metodo biologico o affini, prendendocene cura con potature e trattamenti ecocompatibili, per avere una buona produzione di mele sane e naturali.
La pianta: Malus domestica
Il melo (Malus domestica) è una pianta diffusa e coltivata in tutto il mondo e se ne trovano molte varietà provenienti da incroci intervarietali e interspecifici. La specie fa parte della famiglia delle Rosacee e del sottogruppo delle pomacee (come pero e cotogno). Il termine pomacea ci indica che il frutto è un pomo, botanicamente sarebbe un falso frutto.
Guardando i frutteti troviamo meli di piccole dimensioni, perché la coltivazione razionale ne contiene lo sviluppo per praticità di raccolta e di gestione della pianta. Si possono però trovare vecchi alberi di melo alti 10-12 metri.
Clima e terreno ideali
Il melo è una pianta adatta ad ambienti temperati o freddi: in inverno è capace di tollerare temperature fino a – 25°C, per questo vegeta bene anche ad alta quota, oltre i 1000 metri.
Terreno adatto
Il melo non è particolarmente esigente in fatto di terreno, anche perché ci sono diversi portinnesti che si adattano alle svariate situazioni pedologiche, l’importante è che non ci sia troppo calcare.
Una buona disponibilità di calcio (elemento presente nel calcare) tuttavia è fondamentale per evitare il fenomeno della butteratura amara, per questo in caso di frutteti professionali è meglio fare un’analisi del terreno prima dell’impianto, per verificarne la presenza. La quantità di calcio dipende molto dal pH: se il terreno è acido, il calcio è carente.
Il fabbisogno di freddo
Una delle esigenze climatiche più importanti per la coltivazione di molte varietà di melo è proprio un buon fabbisogno in freddo, ovvero l’accumulo di ore a temperature comprese tra 0 e 14 °C, con l’ottimo a 7 °C. Questo freddo invernale è necessario a far risvegliare le gemme dell’albero dalla dormienza nella primavera successiva. Il melo ha bisogno mediamente di 1000 “unità di freddo” in inverno, si calcolano 1 unità per ogni ora a 7 gradi.
Questo requisito non è soddisfatto nelle aree con inverni miti, ma ci sono alcune varietà di mele, come l’Annurca, che si possono coltivare anche al sud, visto che presentano un fabbisogno in freddo inferiore.
Come mettere a dimora il melo
Il trapianto. Per mettere a dimora un melo bisogna acquistare una pianta di uno o due anni di età, già innestata dal vivaista. Si deve scavare una buca piuttosto profonda e larga col badile o con una moto trivella. Le misure indicative della buca dovrebbero essere 70 x 70 x 70 centimetri o più, se necessario. Agli strati superficiali di terreno bisogna aggiungere compost o letame ben maturi: se si usano elementi freschi potrebbero verificarsi marciumi radicali. Il letame fresco tuttavia può essere utile per l’inzaffardatura, ovvero un ammollo di almeno 15 minuti delle radici in una soluzione densa di letame fresco, acqua, sabbia e terra. Questa operazione si fa sulle piante a radice nuda, senza il pane di terra. Una volta trapiantato l’alberello, con la terra rimessa nella buca, la pianta deve avere il punto di innesto circa 15-20 cm sopra la superficie del suolo. Al termine di tutta l’operazione bisogna poi irrigare abbondantemente alla base. L’operazione della messa a dimora si realizza tra ottobre e marzo.
Il portinnesto. Quando si acquistano le piante da frutto è molto importante chiedere al vivaista su quali portinnesti sono state innestate, perché questo incide su fattori come l’adattabilità al terreno e le dimensioni che le piante tenderanno ad assumere. Meglio orientarsi su portinnesti che conferiscono media vigoria alla pianta, in modo da avere una situazione equilibrata. Ovviamente si deve tener conto della natura del terreno di cui disponiamo e scegliere un portinnesto adeguato.
Impollinazione. Il melo è autoincompatibile, quindi è necessario averne almeno due varietà a fioritura contemporanea perché possa avvenire l’impollinazione, che si realizza tramite le api o altri insetti pronubi. La presenza di qualche arnia nel frutteto è decisamente utile, e oltretutto consente di abbinare la produzione di miele alla frutticoltura. Possiamo anche decidere di introdurre bombi impollinatori, acquistabili appositamente.
Sesti di impianto. Conoscere il tipo di portinnesto utilizzato dal vivaista è fondamentale per definire i sesti di impianto del nostro frutteto. Meli su portinnesti nanizzanti possono essere allevati a fusetto ed essere trapiantati molto fitti, anche a meno di 2 metri l’uno dall’altro, mentre se il portinnesto è più vigoroso opteremo per una forma di allevamento più espansa e di conseguenza lasceremo una distanza più ampia tra un melo e l’altro, indicativamente di 4 metri. In genere se si mette qualche melo in giardino si opta per distanze di quattro o cinque metri tra le piante.
La coltivazione del meleto nel dettaglio
Coltivare meli per l’autoconsumo o per piccole produzioni non sempre porta ad ottenere frutti con l’aspetto e la pezzatura a cui siamo abituati come acquirenti. Se scegliamo di coltivare con metodo biologico è probabile che le mele abbiano una dimensione più piccola e presentino qualche difetto, ma con le dovute accortezze e una buona conoscenza della pianta è possibile ottenere comunque un discreto raccolto.
Quello che ci possiamo aspettare è che con la coltivazione biologica ben condotta si ottengano mele di qualità e particolarmente sane, in una produzione rispettosa dell’ambiente.
Irrigazione. Se si piantano meli innestati su portinnesti deboli (come ad esempio il melo M9 scelto per l’allevamento a fusetto e molto diffuso nei meleti da reddito) l’irrigazione è necessaria per tutto il corso della vita della pianta. Negli altri casi è comunque importante durante i primi 2 o 3 anni dall’impianto, quando l’apparato radicale non è ancora autosufficiente. In seguito possono servire interventi di soccorso in caso di siccità, soprattutto nel periodo della fioritura e della crescita dei frutti. Anche dopo la raccolta l’acqua non deve mancare, come presupposto alla produzione dell’anno successivo.
Pacciamatura. Attorno alle piante appena trapiantate, soprattutto in assenza di impianto di irrigazione fisso, conviene sistemare un cerchio di pacciamatura organica a base di paglia o fieno, che preservi la pianta dalla competizione idrica con il cotico erboso attorno. La pacciamatura deve essere rabboccata periodicamente perché la paglia si decompone con il tempo, contribuendo positivamente all’incremento di sostanza organica nel suolo.
Concimazione. Oltre alla concimazione di fondo che si deve praticare alla messa a dimora delle piantine, ogni anno bisogna somministrare altri fertilizzanti, in modo tale che siano sempre ripristinati i nutrienti asportati dalla produzione di mele, e che la pianta sia in salute. Allo scopo vanno benissimo prodotti naturali di origine organica come stallatico, humus di lombrico, compost autoprodotto, cenere di legna, e anche farine di roccia o altri prodotti minerali naturali.
Come potare il melo
Forma di allevamento. In un frutteto misto per il melo si consiglia una forma di allevamento abbastanza libera, in cui la pianta non sia molto costretta, al contrario nella melicoltura specializzata sono in uso portamenti più severi come il fusetto o “spindel”. Una valida forma potrebbe essere quella chiamata “Taille Longue” o “Solaxe”, in cui l’asse centrale viene fatto sviluppare senza tagli, con branche fruttifere diradate ma non accorciate. I frutti, che si sviluppano all’apice delle branchette piegano le branchette stesse con il loro peso ed eliminano così la dominanza apicale del ramo. La pianta assume un aspetto un po’ piangente e selvaggio, dando buone produzioni.
Potatura. Con la forma di allevamento sopra descritta, gli interventi di potatura di fine inverno dovrebbero riguardare soprattutto l’eliminazione dei rami bassi (quelli fino a 1,2 metri da terra circa), di quelli troppo fitti e di quelli secchi o esauriti. In estate si eliminano i polloni cresciuti alla base e i succhioni a portamento verticale eventualmente cresciuti sulle branche. Il melo produce sulla lamburde ma anche su gemme presenti agli apici dei rami misti e dei brindilli, bisogna quindi tenere presente che un taglio di raccorciamento di questi rami stimolerebbe un ricaccio di vegetazione. Per regolare la carica produttiva è preferibile diradare i rami invece che raccorciare quelli presenti.
Diradare i frutti. Un intervento da non sottovalutare è il diradamento dei frutti, che serve per avere mele di buona pezzatura e soprattutto per evitare l’alternanza di produzione a cui questa specie è naturalmente soggetta. Se il melo viene lasciato a sé stesso infatti tende ad alternare un anno di grande produzione a un anno di scarica, in cui si raccolgono poche mele. L’operazione di diradamento può essere eseguita manualmente, intervenendo dopo l’allegagione e dopo la cascola naturale, quando i frutticini sono ancora giovani, dopo 7-10 giorni dalla loro formazione. Ogni gruppo di frutticini deriva dall’infiorescenza di cinque fiori, generalmente si lascia solo il frutto centrale di ogni gruppo o al massimo due, mentre gli altri si tolgono. Conviene utilizzare una forbice che preservi parte del peduncolo, così si evita che la ferita di taglio faccia cascolare anche il frutto rimanente.
Malattie del meleto
Di seguito vediamo le tre problematiche più frequenti sull’albero di mele, per approfondire le malattie a cui è soggetta la pianta di mele consiglio la lettura dell’articolo specifico sulle malattie del melo e del pero, in cui si analizzano meglio le avversità che colpiscono queste due pomacee.
Ticchiolatura e odio del melo
Le malattie fungine più comuni del melo sono la ticchiolatura e l’oidio. La prima si manifesta con tante piccole macchie scure tondeggianti su foglie e frutti, la seconda con chiazze biancastre polverose. In agricoltura biologica si previene tutto ciò arieggiando le chiome con le giuste potature e scegliendo in partenza varietà resistenti o tolleranti.
Per stimolare le capacità naturali di difesa delle piante si possono irrorare regolarmente dei macerati di equiseto o di tarassaco, oppure i corroboranti, ovvero prodotti commerciali di origine naturale non ascrivibili né a concimi né a prodotti fitosanitari. Sono infatti prodotti di origine naturale che aiutano le piante ad essere più forti nei confronti delle avversità che possono attaccarle, sia quelle di origine biotica (funghi, batteri e insetti), o abiotica (siccità, caldo, insolazione). L’efficacia del loro funzionamento si ottiene con una certa regolarità e tempestività, poiché vanno pensati come prodotti preventivi. Tra questi citiamo la zeolite, il caolino, la propoli, la lecitina di soia, il gel di silice, il distillato di legno e altri ancora.
Veri e propri trattamenti fitosanitari, con prodotti ammessi anche nell’agricoltura biologica professionale certificata, sono quelli con il polisolfuro di calcio, oppure con prodotti a base di rame e zolfo. L’importante è attenersi scrupolosamente alle indicazioni riportate sulle confezioni dei prodotti commerciali, sia per le dosi sia per le modalità di impiego. Per l’oidio sono efficaci anche il bicarbonato di sodio o meglio ancora il bicarbonato di potassio sciolti in acqua.
Per l’uso professionale dei prodotti fitosanitari è obbligatorio aver conseguito il patentino, ovvero il certificato all’acquisto e all’utilizzo dei prodotti fitosanitari, che si ottiene dopo la frequentazione di un corso e relativo esame finale. Chi coltiva come privato invece può acquistare i prodotti per hobbisti, ancora non soggetti a questo vincolo.
Butteratura amara
Si tratta di una fisiopatia, ovvero un’alterazione di natura non parassitaria e dovuta alla difficoltà della pianta a traslocare calcio fino a i frutti, soprattutto nelle varietà a grande pezzatura. Il fenomeno si manifesta soprattutto nella conservazione dopo la raccolta sotto forma un’alterazione della polpa con tacche depresse e suberificate. Si può evitare questo inconveniente concimando preventivamente con carbonato di calcio, farine di alghe calcaree, cenere di legna, o anche con irrorazioni fogliari a base di cloruro di calcio (ammesso in agricoltura biologica) dopo la fioritura.
Colpo di fuoco batterico
Si tratta di una malattia causata dal batterio Erwinia amylovora, e può essere molto distruttiva su melo e pero, così come su altre rosacee. Le piante attaccate assumono l’aspetto bruciato, e devono essere estirpate quanto prima per evitare la diffusione del patogeno. Trattamenti utili sono quelli con biofungicidi come quelli a base di Bacillus subtilis.
Insetti e parassiti
Carpocapsa pomonella. Detta anche “verme delle mele”, è un lepidottero che depone le uova su foglie e frutti, possiamo approfondire la difesa dalla carpocapsa nell’articolo dedicato. Le larve che nascono poi scavano gallerie anche nei frutti, rovinandoli. Le reti antinsetto, messe sopra le piante dopo l’allegagione dei frutti sono un’ottima barriera, altrimenti per i trattamenti consentiti in agricoltura biologica si può scegliere tra prodotti a base del Virus della Granulosi (Granulosis virus) e lo Spinosad. Volendo puntare sulla cattura massiva del lepidottero si possono usare le trappole biologiche Tap Trap, con esca proteica.
Cocciniglie. Le cocciniglie possono trovarsi attaccate ai rametti del melo e punteggiare i frutti lasciandoci tanti forellini. Il polisolfuro di calcio che si usa per la ticchiolatura e l’oidio ha un certo effetto anche su questi insetti, altrimenti conviene pulire i rami con una spazzola metallica.
Ricamatori. Sono lepidotteri che creano danni dall’aspetto di ricami alle foglie e all’epidermide dei frutti. Il Bacillus thuringiensis, totalmente innocuo per gli organismi utili, è un metodo naturale molto adatto a debellarli.
Afidi. Anche il melo può essere colpito da afidi, di cui esistono molti predatori naturali da salvaguardare curando la biodiversità nel frutteto. Sull’afide grigio del melo è stata dimostrata l’efficacia dell’Azadiractina, il principio attivo estratto da semi dell’albero di Neem.
Altri insetti. Il melo può essere anche attaccato dai rodilegno, che scavano gallerie nei rami e nel fusto. Conviene allora favorire la presenza del picchio, uccello che si ciba volentieri delle loro larve, invitandolo con nidi artificiali. Anche contro vespe e calabroni e contro la mosca della frutta sono efficaci le trappole alimentari Tap Trap, già citate per la carpocapsa, possono catturare una discreta quantità di insetti e ridurre di molto il problema.
Da alcuni anni i frutteti sono anche attaccati da due insetti di origine esotica: la cimice asiatica e la Popilia japonica, due parassiti molto polifagi che attaccano anche il melo. Le reti antinsetto, nei frutteti di grandi dimensioni, sono un notevole aiuto nel preservare i frutti dai loro attacchi, mentre la lotta vera e propria viene condotta a livello territoriale dai Servizi Fitosanitari regionali. Essi infatti posizionano trappole o lanciano, nei siti prescelti, gli insetti antagonisti, come la vespa samurai per il controllo della cimice asiatica.
La coltivazione del melo in vaso
La coltivazione del melo è possibile anche in vaso, ma è preferibile scegliere meli di taglia ridotta, a cui comunque bisogna assicurare una buona quantità di terra.
Il vaso deve avere dimensioni adeguate all’apparato radicale, il terriccio deve essere irrigato di frequente e arricchito regolarmente di compost maturo ed altri fertilizzanti organici o minerali naturali. Si possono usare farine di roccia, cenere di legna, solfato di magnesio e potassio.
Da un melo sul balcone non possiamo aspettarci grandi produzioni, ma è comunque una bella soddisfazione poter far crescere questa pianta anche senza avere un terreno a disposizione.
Raccolta delle mele
La raccolta delle mele si effettua in un periodo molto ampio, che dipende dalla varietà.
Ci sono cultivar di melo a raccolta estiva, i cui frutti in genere hanno una conservabilità limitata, mentre quelle a raccolta autunnale e quelle ancora più tardive (dette anche mele invernali) si prestano alla conservazione per molti mesi in atmosfera controllata.
La raccolta può essere fatta da terra se le piante non sono troppo vigorose, arrivando a raccogliere anche 25 kg di frutti a pianta. Altrimenti ci si avvale di scale o coglifrutta.
Utilizzo e conservazione delle mele
Dopo il raccolto le mele sono un frutto che ha una buona durata. L’immersione dei frutti in una soluzione di propoli contribuisce a preservarli dalle malattie post raccolta.
Oltre al consumo fresco, molte mele si prestano bene alla cottura e alla preparazione di dolci, succhi, sidro e aceto. Una preparazione un po’ insolita ma interessante è il succo di “mele chiodate”, ricco di ferro.
Varietà di mela
Il melo è una pianta con innumerevoli cultivar, dalle moderne selezioni alle varietà antiche. Una prima differenza tra le diverse mele si osserva nel frutto: possiamo avere mele rosse (ad esempio gala, fuji, red delicious), mele gialle (ad esempio golden delicious o gold rush) e mele verdi, come la granny smith.
Un criterio per decidere quale melo piantare può essere la resistenza alle malattie, che è di grande aiuto per la coltivazione biologica. Nella scelta di quale tipo di mela coltivare è molto interessante anche tenere conto dell’epoca di raccolta: ci sono varietà precoci e varietà tardive. Se abbiamo piante di diverse varietà possiamo avere frutta fresca per molto tempo, da giugno a novembre.
Tra i meli più precoci vi è un’antica varietà adatta anche alla coltivazione in vaso, ovvero il melo di San Giovanni, che produce piccoli frutti che maturano verso la fine giugno (il giorno di San Giovanni è infatti il 24 giugno) e si conservano per poco tempo.
Alcune varietà di melo resistenti alla ticchiolatura, e quindi da prendere bene in considerazione per l’agricoltura biologica, sono la Topaz, la Florina e la Pinova. A raccolta tardiva citiamo la Bella di Boskoop, una mela dolce-acidula di origini olandesi e resistente alle patologie.
A volte viene erroneamente elencato tra i meli anche il melo cotogno, in realtà è un albero differente, non appartenente alla specie Malus domestica, e quindi merita un discorso a parte, che trovate nell’articolo dedicato proprio alla pianta di cotogno.